Springsteen, tra introspezione e ispirazione

Vulnerabilità e passione in un racconto intimo e potente

Quanto il passato ha il potere di interferire sul nostro futuro? Quanto quel che c’è di non risolto torna prepotentemente nella nostra mente finché non ci riappacifichiamo con quel passato? Niente è davvero scritto se non siamo noi a compilare ogni singola pagina del nostro destino.

 

Nessuno finora aveva raccontato la storia di un’icona del mondo della musica come lui. E il risultato è un film straordinariamente reale che crea un impatto indissolubile non solo con l’artista, ma anche con l’uomo. Scott Cooper firma la regia di Springsteen: liberami dal nulla, un film intimo e ricco di significati, un film 20th Century Studios distribuito in sala dal 23 ottobre da Walt Disney Company Italia.

 

Protagonista assoluto di Springsteen: liberami dal nulla è Jeremy Allen White, perfetto, concentrato e completamente nella parte in un ruolo che mostra ancora di più le sue grandi capacità attoriali, ammesso che qualcuno ne avesse avuto un dubbio.

 

Canta, suona la chitarra, si esibisce su un palco, lascia andare via la sua personalità per far entrare il mito. E il risultato è una rappresentazione esclusiva e privata di Bruce Springsteen in uno dei periodi più difficili della sua carriera. Ma a volte è proprio attraverso la difficoltà, l’elaborazione di un momento particolare che un artista riesce a regalare un’impronta indelebile ed entrare nella storia.

La storia

Incontriamo la solitudine, la disperazione, l’oscurità. Springsteen: Liberami dal Nulla è un puzzle di emozioni che aiutano comprendere il cantante. Siamo di fronte alla realizzazione dell’album Nebraska nel 1982. Inciso con un registratore a quattro piste nella sua camera da letto in New Jersey, il disco ha segnato un importante punto di svolta nella vita di Bruce. Nebraska è un album acustico puro e tormentato, popolato da anime perse in cerca di una ragione per credere. È l’anno in cui da giovane musicista Bruce è sul punto di diventare una superstar mondiale, ma allo stesso tempo è alle prese con il difficile equilibrio tra la pressione del successo e i fantasmi del passato.

 

L’attualità di una scrittura senza tempo

«È come se l’album l’avesse scritto oggi, perché parla di un certo malessere, mancanza spirituale, ambiguità morale, parla delle persone che vivono ai margini della società, quelle che non hanno nulla e vivono una vita di quieta disperazione, persone che lottano per raggiungere il sogno americano ma non ci riescono, questo è stato scritto nel 1982 ma è una cosa che accade ancora oggi», racconta il regista durante l’incontro stampa a Roma, in occasione della premiere.

«Nell’album Nebraska senti la confusione, il desiderio di creare una connessione con una solitudine. Quando lo ascolto mi sento capito c’è molta empatia nel disco», gli fa eco Jeremy Allen White.

L’ok del Boss

Il fatto che Bruce Springsteen abbia supportato il film è stato estremamente gratificante per Scott Cooper. Sin dal 1986 è stato chiesto al cantante di poter realizzare un film sulla sua vita, ma mai aveva concesso la sua storia, finora.

 

Se è vero che a volte le cose migliori nascono senza pianificazioni, Nebraska ne rappresenta un esempio. L’album è qualcosa di istintivo e il film è pervaso da questa sensazione.

 

«Come regista a volte sei scelto dai progetti, perché ti senti spinto a farlo. Nebraska lo è stato per Bruce, non pensava stesse realizzando un disco, trascorreva una vita di quieta disperazione. Molto di questo film riguarda l’onestà, la percezione. Bruce faceva qualcosa di non ortodosso, registrare in casa. Inseguiva l’essere imperfetto e catturava il suono registrato nella sua camera da letto, ne era ossessionato», evidenzia il regista.

 

Vivere le ore lontani dalla propria arte

Sia in Springsteen: Liberami dal Nulla che in The Bear, abbiamo a che fare con talenti che affrontano anche difficoltà emotive, la necessità di saper gestire i propri vuoti ma imparare anche a chiedere aiuto. Aspetti che si intersecano in entrambe le interpretazioni di Jeremy Allen White.

 

«I film che hanno un significano importante per me sono quei film che parlano di appartenenza, e hanno come scopo trovare una famiglia. Presumo che queste storie di giovani, uomini persi o soli, sono le storie che mi attraggono di più perché sono alla ricerca di un obiettivo e uno scopo. Hanno difficoltà a comunicare, ma lo fanno, ad esempio, come Bruce attraverso la musica o l’arte. Questo hanno in comune Bruce e Carmine, affrontare le ore in cui non stanno facendo la loro arte», racconta l’attore.

 

La musica come cura alla disperazione

«Questo film non è un documentario, ma volevo che la percezione fosse quella, perché quel che accade nel film è successo nella sua vita. Essere in grado di girare nelle location in cui gli eventi hanno avuto luogo, ha permeato il film di quella autenticità che potevo soltanto sognare. L’obiettivo era spogliare l’icona, volevamo fare un film che raccontasse un’anima che cerca di ripararsi e curarsi attraverso la musica. È un uomo che soffre di un trauma non risolto, sebbene all’esterno possa dare l’impressione che tutto vada bene. Aveva appena concluso il tour di successo con The River, ma si stava silenziosamente deteriorando all’interno, conduceva una vita di isolamento e disperazione silenziosa. Su questo ci siamo concentrati e non sul mito o sull’icona, proprio per renderlo più umano», rivela il regista.

 

E a chi in sala ipotizza l’Oscar per Jeremy Allen White, il regista conclude con poche ma essenziali parole «Jeremy ha moltissimi tratti in comune con Bruce, uno di questi è l’umiltà e credo che Jeremy lo meriti l’Oscar».

 

Foto ©2025 20th Century Studios.  All Rights Reserved.

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Alessandra Caputo

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